Due settimane di vita in Marocco

A Fabio, Alberto, Sergej e soprattutto ad Anja. Inconsapevolmente avete piantato un seme.
Ah il Marocco che bello: mare cristallino, riad da mille e una notte, tour che ti portano in tranquillità nel deserto in un solo giorno e scene da “Natale sul Nilo”. Ecco, se volete sapere di più su queste cose NON leggete questo articolo, se invece volete sentire storie d’amore, di sbronze moleste con annesse fumate di hashish e scoprire il vero Marocco, buona lettura!
- I primi giorni
- L’inizio dell’avventura
- La fine di un’avventura, l’inizio di un’altra
- Gli ultimi giorni
- Tiriamo le somme di questo viaggio
I primi giorni
Il Marocco mi accoglie subito con affetto, dato che non appena superato i controlli di sicurezza all’aeroporto di Rabat (un po’ più lenti del previsto) c’è ad aspettarmi di fuori un tramonto fantastico, che bella fortuna, prima sera, primo tramonto da togliere il fiato! Questa è comunque l’unica gioia che mi ha regalato il primo giorno in questo fantastico posto, dato che appena arrivato in ostello ho sistemato le mie cose, ho scambiato qualche parola con i compagni di camera e poi sono andato subito a dormire. In compenso il giorno dopo, fin dal primo mattino, ero già in movimento, destinazione Casablanca. Rabat, che merita un paio di giorni per visitarla, avrei avuto modo di vederla i giorni precedenti al volo di ritorno. Di Casablanca mi sono rimaste impresse due cose, la moschea di Hassan II, che da sola giustifica una visita in questa città, e la sporcizia. Il resto non mi è piaciuto molto, tant’è che decido, nonostante i 15 km camminati con lo zaino in spalla quel giorno, di non fermarmi a dormire lì la notte e di spostarmi immediatamente a Marrakech. Anche questa volta arrivo in ostello che il sole è già tramontato e dopo aver passato un’oretta a conversare con il receptionist dell’ostello mi invita a mangiare a casa di un suo amico, dove si stava dirigendo anche lui. Naturalmente raccolgo l’invito e vado! Peccato che solo dopo abbia scoperto che il suo amico era in realtà un ristorante dove lui stava lavorando come cuoco. Inutile dire che quello è stato il pasto più costoso delle mie due settimane in Marocco.
A testimonianza che non tutto il male vien per nuocere quando torno dal ristorante in ostello incontro Fabio e Alberto, due ragazzi della provincia di Torino che hanno davvero girato il mondo in lungo e in largo! La serata prosegue piacevolmente tra racconti, riflessioni, confessioni e molte sigarette fumate. A fine serata mi propongono di noleggiare un’auto e raggiungere Merzouga (la porta del deserto) passando attraverso il passo montano “Tizi N’Tichka”, Ait-ben-Haddou e la valle del Draa. Anche questa volta accetto l’invito senza pensarci due volte anche se questo cambia notevolmente i miei piani, ma d’altronde quanto è bello improvvisare e quanto è bella l’avventura!
Il giorno successivo lo spendiamo per visitare più a fondo la città di Marrakech, che si rivela molto carina, anche se mi aspettavo di meglio. Sicuramente con molta difficoltà dimenticherò i motorini che ci sfrecciavano affianco nelle strette strade rossastre della Medina, ricordo che li guardavo un po’ spaventato e sicuro che prima o poi avrebbero causato qualche incidente.

L’inizio dell’avventura
La mattina successiva, dopo aver ritirato il nostro bolide all’aeroporto e aver bevuto un delizioso tè alla menta (comune in Marocco come il Campari in Italia) ci dirigiamo verso il passo del “Tizi N’Tichka”, un tratto di strada che collega Marrakech ad Ourzazate attraversando la catena montuosa del Grande Atlante. Dal mio viaggio in Marocco tutto mi aspettavo tranne che di trovarmi in un paesaggio alpino imbiancato dalla neve a poche centinaia di chilometri dal deserto! Facciamo una sosta ad Ait-ben-Haddou, un piccolissimo paese davvero bello, se non fosse stato rovinato (o salvato?) dal turismo di massa. I pneumatici continuano a rotolare sul caldo asfalto e la radio continua a suonare improponibile musica araba fino ad Ourzazate, dove passiamo la notte in un Hotel davvero mediocre. Intanto notiamo che la terra si sta facendo più rossa, la pelle dei locali più scura e i veli che ricoprono i capelli delle donne più frequenti. Più frequenti si fanno anche le strade non asfaltate e i piccoli villaggi che penso non abbiano mai visto nemmeno un turista. Finalmente ci stiamo addentrando nel vero Marocco, quello arido e duro, non quello dei scintillanti Riad di Marrakech.
Dopo esserci lasciati alle spalle Ourzazate proseguiamo all’interno della valle del Draa (il più importante fiume del Marocco) fino a Zagora. Quando ripenso a questa parte di viaggio le prime immagini che mi tornano in mente sono quelle dei palmeti che cozzano con l’ambiente circostante, il quale si sta facendo davvero desertico, e alle decine di meravigliose e diroccate Kasbah che si incontrano lungo il tragitto. Chissà quante storie, quante guerre e quanti amori hanno visto quelle mura!
Nel frattempo raccogliamo qualche autostoppista, la maggior parte dei quali una volta saliti a bordo provano a venderti dei tour nel deserto. Ma ce n’è uno di loro che non scorderò mai, un signore di circa 70 anni che non parlava né inglese né francese. Dopo averlo accompagnato per qualche chilometro ci fa capire che ci sta portando a casa sua per offrirci del tè e dei datteri per ringraziarci del passaggio. Una volta arrivati a casa sua ci conduce in una stanza con i muri fatti di argilla e paglia che definire spoglia sarebbe riduttivo, dato che c’erano solo dei tappeti sdraiati per terra e un piccolo tavolino. In compenso la stanza era arredata con la gioia e i sorrisi di una decina di bambini, rientrati appositamente dai loro giochi a piedi scalzi nei campi per osservarci incuriositi. Di sorrisi così limpidi e genuini difficilmente se ne incontrano.
Una volta salutato il nostro nuovo amico marocchino torniamo sulla strada sempre con direzione Merzouga. Una volta arrivati alle porte della città raccogliamo un’altro Hitchhiker, questa volta lui comincia quasi subito a provare a venderci un tour nel deserto, e dato il buon prezzo che riusciamo a strappare accettiamo la sua proposta. Il tour ha inizio il giorno stesso nel tardo pomeriggio, tanto che durante il tragitto percorso a cammello per raggiungere il nostro accampamento (durato circa due ore), ci godiamo quello che è stato senza ombra di dubbio uno dei migliori tramonti della nostra vita. La sera la passiamo piacevolmente tra un piatto di tajine preparato dal nostro accompagnatore, tante stelle ammirate e storie raccontate tra una boccata e l’altra di tabacco in quell’assordante silenzio.
Il mattino seguente, dopo aver notato che i nostri cammelli erano scappati durante la notte e aver aspettato che la nostra guida li ritrovasse per circa un’ora (di terrore), ci godiamo anche l’alba nel deserto, dopodiché torniamo al campo base dove ci aspettava una ricca colazione.

La fine di un’avventura, l’inizio di un’altra
Arrivato a quel punto mi sono dovuto separare da Fabio ed Alberto, i miei temerari compagni di viaggio per qualche giorno, dovevo andare a Fez, un’altra delle città imperiali. Una volta arrivato lì, dopo circa nove ore di autobus, mi concedo una rapida visita alla città ancora zaino in spalla e poi mi dirigo in ostello, dove quasi immediatamente incontro Sergej e soprattutto Anja, due pazzi ragazzi russi di nemmeno venti anni che stavano girando il paese prevalentemente in autostop dato che non avevano soldi per gli autobus (però fumavano due pacchetti di sigarette al giorno, a testa). Dopo aver passato con loro due fantastici giorni alla scoperta delle bellezze della città, l’ultima sera decidiamo di organizzare una festa alcolica nel nostro ostello, dove ancora non so se era possibile portare bevande alcoliche (il Marocco, seppur non estremista, è sempre un paese islamico). Chiaramente quella si rivelata una delle scelte peggiori (e migliori, spesso le cose coincidono) del mio viaggio, dato che tutti e tre ubriachi abbiamo deciso di scavalcare la recinzione che separava il nostro tetto da quello dell’ostello vicino, dove c’era una ragazza spagnola che cantava con una voce divina e suonava la chitarra. Forse però siamo stati attratti più dall’hashish che stava fumando e che naturalmente ci ha offerto. La serata si è conclusa con noi che correvamo tra i tetti della Medina e ci addentravamo in palazzi abbandonati. Lo so, starete pensando che sono un’incosciente irrispettoso, ma rifarei tutto quello che ho fatto quella sera.
Una volta rientrati in camera, approfittando che Sergej stesse smaltendo la sbronza accovacciato sul WC, io e Anja, dopo essere stati amanti per una notte, ci siamo promessi che saremmo rimasti in contatto per sempre. Naturalmente nessuno dei due ha mantenuto quella promessa “onesta ma grossa”, come avrebbe cantato Ligabue.

Gli ultimi giorni
Dopo aver salutato, con un po’ di tristezza nel cuore, anche questi compagni di viaggio prendo l’autobus per andare a Chefchaouen, famosa per essere la città blu e per la qualità dell’hashish che cresce in quelle zone. Il paese è un piccolo gioiello in cui si incontrano due realtà differenti e secondo me incompatibili, quella dei ragazzini che vanno fin li per fotografare le vie della città e subito dopo postare la foto su Instagram e quella dei moderni Hippie, in tutte le loro sfaccettature. Se si vuole è anche possibile fare una visita guidata nelle piantagioni di Marijuana, a me è stato proposto da un signore incontrato lungo la strada ma ho dovuto rifiutare dato che avevo poco tempo a disposizione.
Il giorno successivo lascio Chefchaouen per tornare a Rabat, dove sarei rimasto per circa tre giorni da dedicare alla visita della capitale marocchina e per riposarmi un po’, me lo meritavo dopo due settimane on the road.
Gli ultimi giorni proseguono senza grandi novità, l’unico evento degno di nota è stato quando ho casualmente rincontrato Alberto e Fabio nell’ostello, cosicché abbiamo visitato anche questa città, l’ultima per tutti e tre, insieme.

Tiriamo le somme di questo viaggio
Il Marocco mi ha convinto molto, ma non al 100%. Le città sono tutte molto carine ma simili tra loro, e soprattutto, tranne per poche eccezioni, carenti di monumenti. Sono stato però molto contento di aver toccato, per la mia prima volta, la sabbia del deserto e di aver rivisto l’oceano. Vorrei spendere due parole in più sulla città di Fez, una di quelle che mi è piaciuta di più. La Medina è secondo me incantevole e soprattutto una delle più autentiche, ma i locali provano in tutti i modi ad imbrogliare i turisti. Più volte mi è successo di essere trascinato con l’inganno in strade isolate e mi è stato chiesto a brutto muso di dare i miei soldi. Sono sempre riuscito a scamparmela senza dare un euro, ma mi metto nei panni di chi si fa intimidire più facilmente o di viaggiatrici che si possono sentire più minacciate rispetto a me. Questo naturalmente succede in tutte le città del Marocco, ma a Fez più frequentemente e con maggiore insistenza.Naturalmente consiglio di trattare quasi sempre sui prezzi, semplicemente per pagare il giusto, dato che i conti raddoppiano se a pagare sono dei turisti.
Comunque a me queste cose non hanno dato particolarmente fastidio, dato che se si visita il Marocco vero non si può non notare le condizioni di disagio e povertà in cui vive la popolazione, quindi non posso criticare chi cerca di uscire (anche con metodi sbagliati) da questa situazione.
Concludere questo viaggio comunque mi ha fatto un po’ male, ho lasciato lì e negli angoli di mondo da cui vengono le persone incontrate brandelli di cuore, sicuramente ingrandito e arricchito dopo queste due settimane.